Infatti, la donna era stata assunta inizialmente con contratto a tempo determinato, tale rapporto poi era cessato, in conseguenza dell’assunzione della ricorrente, con stesse mansioni e qualifica, e contratto a tempo indeterminato.
Al momento della trasformazione del rapporto, la convenuta ha ritenuto di azzerare tutti i crediti per ferie maturati dalla lavoratrice in costanza del precedente rapporto, pari a 28 giorni complessivi, che, peraltro, la ricorrente, nel corso del precedente rapporto, aveva puntualmente chiesto di godere di tali giornate di congedo ordinario, a mezzo di apposita domanda e che tale richiesta, era stata però esplicitamente respinta per “mancanza di personale.
Il tribunale del Lavoro
Il Tribunale del lavoro di Nuoro, accoglie il ricorso dell’ostetrica e dispone il pagamento da parte dell’Asl delle ferie non godute.
E’ noto che l’art. 10 D Lgs. n. 66/03 prevede che il lavoratore abbia diritto a un periodo annuale di ferie retribuite, non inferiore a quattro settimane, così come è noto che, secondo tale norma, “il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro”.
La disposizione, pertanto, sancisce il carattere indisponibile del diritto al riposo e/o alle ferie, in linea perfetta, del resto, con la stessa previsione di cui all’art. 36, 3° comma, Cost., ove è stabilito il divieto di rinunzia alle ferie.
Anche l’art. 19, comma 8, del CCNL di comparto, pacificamente applicabile al caso di specie, prevede che le ferie sono un diritto irrinunciabile e, per quanto qui rileva, non sono monetizzabili.
La richiamata norma contrattuale, tuttavia, precisa, subito dopo, che “all’atto della cessazione del rapporto lavorativo, qualora le ferie spettanti a tale data non siano state fruite per esigenze di servizio o per cause indipendenti dalla volontà del dipendente, l’azienda o l’ente di appartenenza procede al pagamento sostitutivo delle stesse” (cfr. comma 14).
In tal senso, la stessa Corte Costituzionale ricorda che “riposi e permessi … sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi” e con la pronuncia n. 95 del 6.5.2016 ha ribadito che il divieto di monetizzazione è finalizzato a garantire il godimento effettivo delle ferie e a dare concreta attuazione al diritto inderogabile sancito dalla Carta Costituzionale e dal diritto dell’Unione.
Dal canto proprio, la Corte di Cassazione ha evidenziato come “il divieto di monetizzazione non deve quindi essere interpretato … nel senso che il divieto di corrispondere trattamenti economici sostitutivi delle ferie non godute si applichi anche quando il lavoratore non abbia potuto godere delle ferie per malattia o altra causa non imputabile” (cfr. Corte Cass n. 15652 del 2018), ulteriormente
chiarendo, sotto il peculiare profilo dell’onere probatorio, che il diritto alla monetizzazione delle ferie è subordinato alla non imputabilità al dipendente della loro mancata fruizione, dimostrata dalla ricorrenza di motivate esigenze di servizio che vi abbiano ostato, sicché l’eventuale difetto di prova circa la ricorrenza di tali esigenze conduce al rigetto della domanda (cfr. Cass. Civ. Sez. Lav., ordinanza n. 28625 del 2018).
In buona sintesi, al più generale divieto di monetizzazione fa fronte, in certi casi, il diritto alla monetizzazione delle ferie non fruite: questo diritto, matura ogni volta che il dipendente non ne abbia goduto a cagione di obiettive esigenze di servizio e, comunque, per cause da lui non dipendenti o a lui non imputabili.
Per qualsiasi informazioni contatta il segretario territoriale Maurizio Pelosi al 3338084111